La nostra "naja"

Davide Beraldo

Agosto 1994 – Agosto 2014: 20 anni dal mio congedo 


Esattamente vent’anni fa è arrivato il fatidico giorno del mio congedo. Ricordo ancora le emozioni che ho provato in quella giornata: l’ultimo Alzabandiera, cantando con le lacrime l’Inno di Mameli, e la grande commozione che ho provato quando sono salito in Palazzina Comando e sono entrato nella stanza del comandante del Reggimento, il Ten. Colonnello Fausto Macor e, mettendomi sugli attenti, ho salutato la Bandiera di Guerra del mio reggimento, il Terzo Reggimento Alpini. Da quel momento ho capito che avevo fatto parte, e ne avrei fatto parte per sempre, di qualcosa di unico, di un reparto militare che mi ha addestrato come soldato e formato come uomo e come cittadino.

Ricordo ancora l’arrivo della cartolina. Quello è un giorno che difficilmente si può dimenticare, in quanto termina l’età dell’adolescenza (anche se ancora non potevo saperlo). Ero a conoscenza della data della mia partenza, in quanto decisi di arruolarmi a 17 anni, partendo come Volontario in ferma Prolungata, VFP, questo era il termine corretto.

Partii il 15 giugno con destinazione Cassino, in provincia di Frosinone, a metà strada tra Roma e Napoli: due mesi e mezzo di Scuola di Fanteria, con prove teoriche e pratiche e, al termine, dopo aver fatto il giuramento (eh sì, qualcuno sorriderà, ma ho giurato con il basco nero, dell’80° Reggimento di Fanteria “Roma”), veniva stilata una graduatoria e i primi di questa lista avevano la possibilità di scegliere la destinazione finale. Arrivai terzo del mio plotone, ma l’indecisione era sovrana e non sapevo quale reparto scegliere. Venne, per così dire, in aiuto un mio commilitone di Mestre, Alessandro R. (con il quale abbiamo trascorso poi la nostra naja insieme) che mi consigliò di scegliere un reparto alpino: gli Alpini !!! Ma io non ero mai stato in montagna, le avevo viste sempre da lontano… non conoscevo nulla degli Alpini, la storia, le origini, le tradizioni: sapevo solo per sentito dire che si trattava di un Corpo militare, tosto, molto tosto!!!

E così, per non deludere il mio amico Alessandro, con il quale avevamo instaurato un amicizia fraterna, decisi di scegliere le Truppe Alpine.

Destinazione Pinerolo, provincia di Torino: 3° Reggimento Alpini, Battaglione Alpini Susa .

A fine agosto arrivammo a Pinerolo, e al cancello carraio ci venne incontro un Sergente Maggiore che, molto gentilmente ma in modo molto fermo, ci salutò e ci inquadrò: il suo primo ordine fu quello di buttare i “baschi neri” nei cestini della spazzatura, dicendoci che da quel momento avremmo fatto parte del “Susa”, del Terzo Alpini, e quindi quel basco, e poi l’indomani mattina gli anfibi da fante che indossavamo (che per ragioni pratiche non ci fece buttare subito, ma appunto l’indomani mattina quando ci consegnarono i “Vibram”, l’abbigliamento e tutta la dotazione alpina) non ci servivano a niente, in quanto saremmo diventati Alpini.

Ricordo ancora lo stupore, quando ancora inquadrati, ci fece nuovamente uscire dalla porta carraia e ci fece schierare davanti al cancello carraio e ci fece leggere e ripetere a voce alta gridando le parole impresse sul portone: “A Brusa suta l’ Susa” (il motto del Battaglione)

Nuovamente inquadrati ci portò in camerata, nella 36ma Compagnia Fucilieri: in quel momento guardai Alessandro e, con qualche cadenza dialettale veneta (sono di origine trevigiana), lo mandai molto gentilmente a… quel paese!!!

Pensavo come potevo essermi meritato di aver scelto un reparto alpino, essere destinato a un battaglione operativo, e per finire a una compagnia fucilieri, con incarico Fuciliere Assaltatore: peggio di così non poteva esserci nulla.

Ben presto capii quanto fui fortunato e capii subito cosa volesse dire il termine “battaglione operativo”: ogni settimana tre giorni di pernotto fuori caserma, dormendo nei “canili” (le tende che si formavano unendo i teli tenda in dotazione), o in buche scavate nel terreno, con qualsiasi condizione meteo; esercitazioni in alta quota; assalti di plotone, di compagnia e di battaglione, con marce e continue esercitazioni di addestramento di fanteria d’attacco; prove di elisbarco e elimbarco, con voli notturni e arrivo in quota e poi discesa con gli sci con le pelli di foca.

Questo è quello che abbiamo fatto ogni settimana nei primi tre mesi di addestramento.

Ai primi di Dicembre la mia Compagnia, la 36ma, venne spostata in Val Chisone e da qui fummo dislocati di volta in volta in diverse caserme: Salice d’Ulzio, Ulzio, Pragelato e infine a Sestriere per il corso sci.

Ovviamente il “menu settimanale” non cambiava e l’addestramento questa volta veniva fatto in ambiente montano, con la neve e il freddo tipico di questo periodo invernale.

Il motivo di questo nuovo dislocamento era semplice: addestramento in preparazione alla Norvegia!!!

Dopo qualche settimana, ai primi di Gennaio del ‘94 lasciavamo la 36ma Fucilieri per entrare nella 133ma Armi di Sostegno, assegnati al Plotone Controcarri, e finalmente pensai che avrei smesso di marciare, portare il fucile e lo zaino. Effettivamente smisi di marciare come prima, anche se alcune esercitazioni prevedevano di muoversi a piedi, per poi ricongiungersi con il mezzo che era stato spostato con gli elicotteri (i grossi CH47, elicotteri mostruosi che potevano spostare tranquillamente anche un CM) ma lo “zaino alpino” e il fucile facevano sempre parte del mio “corredo personale”.

In questo periodo trascorso fuori dalla mia caserma, la “Berardi” di Pinerolo, l’addestramento e le esercitazioni che svolgemmo furono molto impegnative, dal punto di vista climatico, dal punto di vista fisico ma anche dal punto di vista psicologico, in quanto molto spesso simulavamo periodi di “combat”, in cui per giorni e giorni vivevamo fuori dalla caserma, completamente isolati dal reparto, potendoci nutrire solo con la famosa Razione K .

Questo lungo periodo permise al “plotone controcarri” di amalgamarsi e di unirsi, dato che le esperienze vissute, i sacrifici, e con l’addestramento molto impegnativo, ci permisero di divenire un ottimo reparto: questa preparazione era necessaria per gli impegni che di lì a poco avremmo affrontato.

Prima di marzo rientrammo a Pinerolo, qualche giorno di licenza a casa e al ritorno in caserma trovammo in fureria la tanto attesa comunicazione: prossima destinazione, Bardufoss in Norvegia per l’esercitazione NATO “ARCTIC EXPRESS 94”.

Può sembrare strano ma quella comunicazione fu una liberazione, perché finalmente avremmo finalmente verificato se tutto l’addestramento, i sacrifici e le privazioni provate, ci avrebbero permesso di superare le prove che ci aspettavano: era il momento dell’esame.

Trascorsi circa un mese in Norvegia, di cui una settimana dedicata a una esercitazione di guerra simulata tra il blocco dei paesi dalla Nato e il blocco sovietico (nel blocco Nato eravamo presenti noi Italiani, Americani, Tedeschi e Olandesi; nel blocco Sovietico i padroni di casa Norvegesi e gli Inglesi).

Questa settimana fu veramente difficile e molto impegnativa, sia dal punto di vista climatico, con diverse notti in cui raggiungemmo la temperatura di -32°, sia da quello fisico e mentale, in quanto per una settimana simulammo di essere in situazione di guerra, isolati dal reparto principale, senza cibo caldo ma mangiando solo la razione K (la maggior parte delle volte la mangiavamo fredda). Con la mia squadra controcarri eravamo stati posizionati su una collina a ridosso di un fiordo, e da quella postazione dovevamo evitare il passaggio dei mezzi blindati inglesi e norvegesi, utilizzando il lanciamissile Tow che per l’occasione di questa esercitazione era stato dotato di un apparecchiatura che simulava lo sparo e il contatto sul nemico. Fu una settimana durissima, una esperienza che non potrò mai dimenticare e che ancora oggi, pensandoci, non riesco a immaginare quanti e quali privazioni abbiano provato i nostri Alpini durante la Campagna di Grecia o la terribile Campagna di Russia.

Al termine di questa settimana di esercitazione, rientrammo al nostro campo base e finalmente ci potemmo lavare, mangiare un pasto caldo e dormire al caldo di una tenda (durante l’esercitazione dormivamo all’interno di una “truna” scavata nella neve).

Rientrammo in Italia verso fine marzo e ci venne concessa una licenza premio di dieci giorni. Al rientro alla “Berardi” trovammo i nuovi ordini: partenza immediata con destinazione Palermo, Operazione Vespri Siciliani. In quindici giorni passammo dai -32° a + 40°!!!! Anche questa è naja…

Ricordo ancora come se fosse ieri il giorno della partenza: il battaglione tutto schierato in piazza d’Armi, l’ordine di partenza, e in fila indiana divisi per compagnie, plotoni e squadre attraversammo tutta Pinerolo per avviarci alla stazione, con la gente che ai bordi delle strade ci salutava e applaudiva. Il “Susa” era nuovamente in missione!!! Fu emozionante e al tempo stesso ci rese fieri e orgogliosi di appartenere al “Terzo Alpini”, sia per quello che rappresentavamo come Alpini e come reparto, sia per la gente di Pinerolo, una città abituata a vedere i propri “alpini” partire in missione e onorare sempre il ricordo di tutti gli Alpini del Terzo.

Arrivati a Palermo fummo divisi in due reparti: io rimasi a Palermo e il secondo reparto, con il mio amico Alessandro, fu inviato a Castelvetrano in provincia di Trapani.

Il mio reparto fu dislocato presso la caserma di fanteria “Sciacca” di Palermo: ho ancora negli occhi e nella mente le parole che ci disse il nostro Comandante di Reggimento, l’allora Colonnello Novelli (successivamente divenuto Generale e Comandante delle Truppe Alpine) quando arrivammo in caserma e ci fece schierare: “Ricordatevi che siamo ALPINI e siamo ALPINI del TERZO!!!“.

In quelle poche parole pronunciate con molta risolutezza e fermezza c’era tutto il senso di orgoglio e di appartenenza alle Truppe Alpine. E quelle parole dette a dei ragazzi di 18/20 anni in un momento così delicato della nostra vita, ancora oggi le ricordo come un insegnamento fondamentale per il loro alto significato morale, e anche se può sembrare banale, ancora oggi nei momenti di difficoltà ricordo quel momento.

“TUONO 6” era il nome in codice della mia postazione a Palermo. Ricordo ancora il nome della via e il numero civico in cui eravamo di servizio: il nostro compito era quello di vigilare e controllare che nelle immediate vicinanze dell’abitazione del magistrato, che era un obiettivo a rischio, non venissero parcheggiate automobili, non ci fossero persone che al di fuori degli abitanti dello stabile potessero frequentare quella zona.

Io comandavo una squadra di 4 alpini, che montavano di guardia in punti fissi e prestabiliti. La strada che sorvegliavamo era a senso unico e pertanto due alpini montavano di servizio ai due angoli della via e gli altri due sul fondo, sempre ai due angoli della via, mentre io mi occupavo di controllare il portone d’ingresso dello stabile in cui abitava il magistrato. Avevo il compito di controllare chiunque entrasse o uscisse, e soprattutto nel momento in cui il magistrato rientrava a casa con la moglie, anch’essa magistrato, fornivo “sicurezza” e aiuto ai ragazzi della sua scorta. Dopo qualche settimana di servizio ho imparato a conoscere questi uomini della scorta, che erano tutti Carabinieri, e il sentimento di stima e di ammirazione per quello che facevano aumentò notevolmente: “angeli della scorta”, lo posso confermare.

I nostri turni di servizio erano così organizzati : 6 ore di servizio, 12 ore di riposo e al termine di un ciclo di 4 turni (06.00/12.00 – 12.00/18.00 – 18.00/24.00 – 24.00/06.00) si aveva diritto a 18 ore di riposo, e poi si ricominciava di nuovo.

Superate le prime settimane faticosissime (faticosissime sia per il fatto di abituarsi a montare di servizio indossando il giubbetto anti-proiettili, caricatori, pistola, sia per il caldo veramente opprimente), successivamente divenne automatico e oramai il servizio veniva svolto senza particolari ripercussioni. L’attenzione e la concentrazione dovevano essere sempre alte, ma fortunatamente a parte alcuni casi isolati, abbiamo svolto un ottimo servizio.

L’Operazione Vespri Siciliani ha lasciato dentro di me un ricordo indelebile: un ricordo fatto di fatica, di un caldo a volte opprimente, turni di servizio massacranti, ma anche di tantissima soddisfazione per il lavoro che abbiamo svolto per la protezione dell’abitazione del magistrato.

Rientrammo a Pinerolo dopo quasi due mesi di “Operazione Vespri Siciliani” e dopo altri due mesi arrivò la data del congedo, e con essa il termine del periodo della “naja”.

Ognuno di noi, di chi a vissuto quel periodo, ha avuto e ha ancora dei ricordi o delle sensazioni diverse, e so per certo che aver condiviso quei momenti, quel periodo di vita così unico, ha cambiato e ha formato il mio essere uomo e cittadino. Nel mio caso posso confermare che prima della partenza per il servizio militare avevo poche, pochissime certezze, non avevo ancora capito chi fossi. La naja, la naja svolta al “Susa”, in un battaglione così operativo, è stato determinante per trarre degli insegnamenti che ancora oggi, a distanza di vent’anni, sono per me dei valori fondamentali e insostituibili: Amor di Patria, Senso del Dovere, Spirito di Corpo, Fraternità e Amicizia, Amore verso la propria Famiglia.

 

Davide Beraldo 

Addestramento

Campo estivo in Val Thuras

Arctic Express '94 Norway

Vespri Siciliani '94